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Salviamo i Rohingya


Si fa presto a credere felicemente conclusa una situazione internazionale che, a ben vedere, nasconde tanti lati per niente risolti. Secondo una frettolosa lettura della stampa, lo stato della Birmania (oggi Myanmar, nome datogli dai generali) dopo le prime libere elezioni del 2015, precedute da decenni di dittatura militare (sin dal 1962), sembra avviata verso la democrazia, sviluppo e prosperità economica in quanto ha stravinto il partito della leader Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, che era stata per anni agli arresti domiciliari.
Ma in realtà la situazione non è risolta, visto che i generali rappresentano uno Stato nello Stato, detengono un quarto dei seggi in parlamento oltre ai ministeri chiave : interno, difesa e "affari di confine", oltre a poter esercitare un diritto di veto.
E non sono risolte neppure le richieste di maggiore autonomia (oltre che rispetto dei diritti umani) delle minoranze etniche, diverse dalla maggioranza Bamar (ovvero l'etnia principale birmana), si pensi ai Chin, originari della Cina che sono cristiani, o ai Rohingya mussulmani, ai Kachin delle montagne himalaiane dove esiste il fiorente commercio di Giada, ai Shan degli altipiani del "triangolo d'oro" (la zona di coltivazione dell'oppio, tra Birmania, Laos e Thailandia), ai Karen, resi celebri in occidente dall'ambientazione del film John Rambo (il quarto della serie) e ai Mon, che anticamente era la cultura d'élite birmana.
E negli stati birmani dove le minoranze sono in maggioranza c'è stata o è in corso una "birmanizzazione" forzata nella cultura oltre che in alcuni guerriglia anti-governativa, repressione armata e l'emergenza di migliaia di profughi.
E infatti proprio in questi giorni viene diffusa dai mezzi di informazione una lettera all'ONU, scritta da alcuni Nobel per la pace ed altre personalità internazionali, che richiamano Aung San Suu Kyi a considerare la situazione dei Rohingya, vista la ribellione che si è riaccesa recentemente, per far valere il rispetto dei diritti umani.

Fonti:
 - La Stampa, La Birmania chiude l’era dei militari: dopo 50 anni un presidente civile
 - La Stampa, La pulizia etnica dei Rohingya, nel silenzio di Aung San Suu Kyi
 - Wikipedia, Rohingya
 - Wikipedia, Aung San Suu Kyi
 - Wikipedia, Birmania

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